venerdì 7 dicembre 2012

cenere eri e cenere ritornerai

Lentissimo ritorno alla normalità.
Lentissimo nel senso che per Rhett qualcosa è cambiato per sempre, la lacerazione provocata dalla  mancanza della sua mamma purtroppo mai si rimarginerà.
Oggi è rientrato al lavoro . Non ne vedeva l'ora, in effetti dopo un mese passato al capezzale della madre dentro e fuori dall'ospedale  tornare alla solita routine, tra solite mansioni e soliti colleghi gli può fare solo bene.
La scorsa settimana è stata da panico, veramente. 
L'ospedale ci ha chiamati alle ore 1,40 della notte tra martedì e mercoledì. Rhett era appena tornato a casa dall'ospedale molto agitato e con dei brutti presentimenti, la mamma era tutto il giorno che apriva gli occhi ma non riconosceva più nessuno, non mangiava da tre giorni e si idratava solo tramite flebo. mascherina di ossigeno e morfina ormai erano le sue compagne fisse da dieci giorni .
Ore 1,40 arriva la fatidica telefonata. Corsa all'ospedale. Buio nel reparto di oncologia. Silenzio. Camminare piano. Non fare rumore. Le infermiere chiamano il cappellano che dà una benedizione alla mamma. Io e Rhett nel buio e nel silenzio dobbiamo svuotare armadietto e comodino di ospedale. Torniamo a casa . Chiamiamo fratello di Rhett. Segue notte insonne.
Mercoledì:  Viene informato il padre di Rhett, ottantenne, il quale apprende la notizia con rassegnazione, ma senza disperazione .Giornata pienissima sotto una pioggia incessante, mattinata passata tra pompe funebri e commissioni inevitabili..
Nel pomeriggio viene aperta la saletta presso l'obitorio dell'ospedale. Rhett, io, cognato e cognata presidiamo tutto il giorno la saletta al freddo e al gelo e accogliamo l'interminabile processione di amici e parenti. Segue Santo Rosario presso la Chiesa Parrocchiale.
Giovedì mattina: altre commissioni e presidio camera mortuaria. Nel pomeriggio funerale.
Venerdì: giornata stand-by, altre millemila commissioni.
Sabato mattina ore 7,30: solo Rhett ed io assistiamo alla cremazione della sua mamma, secondo la sua volontà. Attendiamo per un'ora e mezza in una saletta lugubrissima e puzzolente di stantìo, con le pareti bordeaux e il soffitto nero, solo io, lui e la bara. Cerchiamo di dire delle preghiere, di salutarla l'ultima volta.
Poi ci fanno accomodare in una saletta laterale davanti a un video. Mi dicono che ora staccheranno la targhetta col nome e ci verrà restituita. Chiedo che ci venga restituita anche la croce sopra. Fanno i finti tonti e ci dicono che se proprio la rivogliamo dobbiamo firmare. Certo che la rivogliamo, non permetteremo che venga commercializzata di nuovo, non vogliamo alimentare  un business già abbastanza vergognoso.
Possiamo assistere al tutto davanti a un video piazzato davanti al forno. Vediamo la bara che arriva davanti, vengono tolti targhetta, croce e viti varie, poi lo sportello si apre e io sento arrivare una folata di arrosto bruciato. Mi viene la nausea. Vedo una luce rossa in fondo al forno, la bara viene infilata dentro e spinta a gran forza , poi lo sportello viene chiuso. Chiudo gli occhi e mi scendono delle lacrime. Avremo fatto bene? L'impressione che ne ho avuto al momento è quello di mandarla a bruciare tra le fiamme dell'inferno. ma poi penso che sono solo metafore dantesche che abbiamo in testa.  Il fuoco purifica , no? e poi lo dice anche il Vangelo, cenere eri e cenere ritornerai, o no?
Ce ne andiamo dopo poco, il tutto dura tre ore, ma è inutile stare a fissare un forno chiuso. 
Nel pomeriggio siamo tutti in attesa al cimitero, arriva il pulmino delle pompe funebri e porta l'urna.
La appoggia sul tavolino di vetro. Rimaniamo abbastanza impressionati. L'urna ha forme e dimensioni di una scatola di cioccolatini. Un rettangolo alto pressapoco tre centimetri. La domanda che si fanno tutti è la stessa: tutto lì dentro? siamo sicuri? meglio non farsi ulteriori domande.
Il parentado se ne va, torniamo a casa del papà di Rhett e ceniamo lì assieme al fratello di Rhett, sua moglie e i bimbi.
Guardo mia cognata e penso a tutte le litigate che facevano SEMPRE quando si incontravano, alla tensione che aleggiava quando ci si trovava tutti insieme, alle urla che non venivano mai trattenute, ai loro continui battibecchi , a volte anche pesanti. 
Basta.
Non succederà più.
Il capitolo è definitivamente chiuso.


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